Tutto è in perenne movimento. Cambia il paesaggio, cambiano le situazioni, solo le teste troppo spesso fanno fatica a cambiare. Se si è sempre fatto così non significa che per forza bisogna continuare a fare sempre così; cambia il corpo, è cambiato il mio corpo. Con l’ananas mi venivano le bolle in bocca, le albicocche mi bloccavano la digestione, i pomodori non potevo nemmeno guardarli che già la mia pelle reagiva male, l’avocado mi piaceva ma mi mancava il respiro solo a toccarlo, l’insalata cruda mi ribaltava lo stomaco e le carote mi grattavano in gola. Il vino bianco mi faceva venire l’acidità, e con il pesce crudo mi veniva un eczema in viso, e più di un caffè al giorno non potevo bere. Avevo ogni tipo di allergie, da ragazzo nel tempo della fioritura avevo una febbre da fieno continua e potente, non potevo correre in mezzo ai prati. Il mio corpo con il tempo si è adeguato, o adattato ai ritmi della Natura; le allergie sono quasi scomparse, di caffè ne bevo quattro o cinque, un bianco mi è insopportabile solo quando non mi piace. Con il tempo ho anche cambiato la testa. Mi annoiavano i quadri del Cinquecento, e ora rimango incantato davanti alla vocazione di San Matteo di Caravaggio. Quel dito che punta contro il mondo è come se dicesse: tu proprio tu, non è colpa tua se sei come sei, ma è responsabilità tua fare di ciò che sei quel che sei.

Dovremmo sempre interrogarci su quel che abbiamo fatto per essere ciò che siamo. È che la superficialità, la fretta, l’indifferenza, la non disponibilità a cambiare vince su ogni cosa, perché in fondo, spesso e volentieri, è il va bene così a tiranneggiare su di noi. Eppure, l’esperienza di incontro diretto, vissuto con l’altamente significativo, può farci evolvere, migliorarci, può rapportarci in modo più intimo, chi con Dio, chi con la Natura. Trovo che lo stare seduti su un prato appena falciato, o passeggiare tra questi vecchi larici con le fresche gemme rosse che tra poco diventeranno pigne, aiuti la testa e il corpo a diventare più belli. Lo sguardo attento a un gallo forcello che canta all’amore è l’opposto di uno spettacolo seduti in poltrona con il telefono in mano a guardare le idiozie che dicono i fascisti riguardo razze o etnie. Lì, fra le colline toscane, mi sento dentro, ad arrampicarmi su per un canalone dolomitico sono con me. Dentro e fuori di me, parte della Natura.

È un contatto vitale che genera sensazioni che vanno oltre il ‘me’. Emozioni che dialogano, si toccano, prendono il volo. Sento la Natura come un nutrimento puro, autentico, privo di sofisticazioni. La Terra esprime l’intima essenza in un corpo, il mio, a contatto con corpi che hanno un’altra vita rispetto alla nostra. La roccia, la pianta, le pietre, l’argilla, i fiori: contatti fisici che esplori, rivolti, tocchi e così facendo ti esplorano, ti rivoltano, ti toccano nel profondo. È l’unione tra materia e soggetto che si riconoscono, che si attraggono in una dimensione celeste, spaziale, e mi danno celebrazione, conciliazione, concordia. Amo questo isolamento in armonia con il fuori di me, che mi riempie di me. Così non ho più paura del vuoto, perché il respiro va oltre l’infinito. Così intendo l’intimo rapporto fra l’io e la Natura.

L’uomo, troppo spesso smarrito e snaturato, o reso cieco dal dio-consumo, deve sottoporsi ad una trasformazione radicale. Deve “diventare” come la foresta e la roccia, come il fiore e il frutto, come il temporale e l’uragano. Nello Zen unione significa ritorno a casa, ripristino di un originario stato andato perduto. Io sono certo che il mio corpo è cambiato, aiutato o trainato dalla Natura. È vero, ci sono alcune cose che ancora oggi devo mangiare con moderazione, più di una mezza dozzina di ostriche con una bottiglia di champagne non le sopporto, ma per il resto sto bene, molto bene. Le lunghe camminate, le arrampicate, gli abbracci agli alberi continuano a farmi bene. Continuano a cambiare il mio corpo. Che da insensibile, allergico, refrattario, si è fatto nel tempo più aperto, ricettivo, disponibile. Di conseguenza, anche la testa va di pari passo.

A noi piacerebbe portare e trasportare gli ospiti nei meravigliosi posti che viviamo attraverso un contatto con il fuori di noi che incoraggi a coltivare la bellezza e i valori in cui crediamo e che albergano dentro ognuno di noi. Bellezze e valori e contatti che possono riassestare il corpo e fare passare allergie o intolleranze o contaminazioni negative. La speranza è che chi ci legge non venga qui da noi solo a “staccare la spina”, ma che ci sia data la possibilità di trasmettere qualcosa di importante. La cosa importante per noi significa non confondere ciò che è effimero e ciò che può renderci eterni. Una cosa importante che potremmo chiamare ‘poesia del vivente’, la quale oppone a una civiltà che ama le astrazioni – popolo, pubblico, massa – il corpo concreto, vivo e vegeto, di noi individui. Noi, con le nostre ferite, i nostri affanni, che amiamo andare oltre i fantasmi della modernità per riscoprire il respiro della Terra, che è anche il nostro respiro. Andiamo. Vi aspettiamo.

Michil Costa