Mentre papa Francesco, frainteso da tutti, parla di bandiera bianca, e lo fa perché prega per la pace e non per la guerra, ecco emergere nel mondo della chiesa una verità, di quelle che fanno male, di quelle che vorremmo non essere vere.

Uno studio americano espone con chiarezza che su seicentomila religiose nel mondo sono almeno settantacinquemila le suore che hanno subito abusi sessuali e centottantamila quelle che hanno subito una qualche forma di violenza.

Credo nella Chiesa?

I valori di cui si fa portatrice non sono per me in discussione.

“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” leggo nel Vangelo.
Quest’ultima frase ora riverbera come una violenta scudisciata violenta sul volto. Pulsa, la sento nelle orecchie e mi fa male.

Non voglio più stare in una Chiesa che ignora e tace e soprattutto nasconde con una pudica e ignobile riservatezza quello che fanno i suoi prelati, i suoi ambasciatori, i suoi predicatori, i suoi rappresentanti di Dio in Terra: no, non voglio spezzare il pane con loro, non voglio bere il vino con loro.

Le suore sono imprigionate da un sistema dal quale non possono liberarsi, perché economicamente non autonome: se vincoli una persona a dipendere da te in tutto, la fai prigioniera di una catena che non può spezzare. Come potrebbe una suora, che vuole essere di nuovo solo Donna, uscire dal sistema se a cinquant’anni non possiede nulla? Ha con sé solo le sue scarpe e il suo abito, dove può andare?

Cosa può fare una suora dopo che ha trascorso 36 anni in convento, con 12 ore di lavoro al giorno negli ospedali e senza aver ricevuto nemmeno un contributo dall’ Ordine per cui ha lavorato, quasi come una schiava, se non restarvi dentro e sottomettervisi? Un ordine che è miliardario, per di più.

È lo stesso principio che tiene legate le donne vittime di abusi a uomini-bestia.

“Se non ho dove andare, resto qui. Purtroppo.” Meglio bastonata, piuttosto che povera e sola, magari mi romperai le costole, ma almeno non sarò senza un tetto.

Ho letto di suor Giulia, che a dodici anni è entrata in un convento tra privazioni, vessazioni, castighi e che in Congo ha subito il primo stupro. Lei era vergine, lui ora parroco in Belgio e beato e placido alla guida di un piccolo popolo, il buon pastore, davvero. Vergogna inammissibile.

E il suo martirio in terra, la sua umiliazione non finisce: subisce l’oltraggio da un potente rettore di un’università cattolica, amico di ministri e cardinali. Quando ne parla con i confessori, ecco la risposta che riceve: “Noi sappiamo, noi sappiamo”. Quindi? Questo tacere, questo scuotere la testa come se nulla fosse, per salvare la virtù di Madre Chiesa è del tutto vergognoso.

Sciogliamo questi vincoli, sciogliete questi vincoli della vergogna, capestri di filo spinato che sanguinano.

Al punto che ho difficoltà a entrare in chiesa, guardo l’officiante e dubito.

Odio le generalizzazioni, che sono spesso il sentore del popolo che rumoreggia, bramito di cervi che si caricano tra di loro; vorrei comunque che questi miei dubbi, che appartengono a tantissimi portino la chiesa a scendere dalla sua torre di marmo e che faccia un passo verso il futuro, verso l’umanità, di nuovo. E che nel riscoprire la sua umanità essa sia capace di condannare, una volta e per sempre, tutto il male di cui ha nascosto le tracce.

Tutto quel male (anche troppo recente) che fatto verso le donne, le nostre Sorelle, verso i minori e verso chiunque non può essere più taciuto e omesso.

La Chiesa ha perso fedeli, sintomo di uno scollamento che esiste tra istituzione e società: Chiesa cara, compagna di secoli, è giunto davvero il tempo che ti guardi allo specchio e abbandoni alcuni orpelli che non ti donano più, è tempo di essere di nuovo pronta per i secoli che verranno.

E fallo presto. Il tempo corre più che cento anni fa.

E soprattutto sarebbe ora che tu iniziassi a trattare le donne con il riguardo e il rispetto che meritano, in gioco vi è la tua credibilità, il tuo nome. Il Suo nome.

In saecula saeculorum!
Michil Costa