Toni entusiastici. Milioni di seguaci, pardon, follower. Miliardi di visualizzazioni sui social. Numeri uno su Spotify. Centinaia di dischi d’oro, di platino e di diamante. Osannati e riveriti, corteggiati ed acclamati. Paragonati ai Beatles. Ai Beatles! Un misto tra Mandrake e l’incredibile Hulk. Più che surreali direi digitali.

Cinque anni fa non li conosceva nessuno. Poi è arrivato Sanremo. Avete visto Sanremo? Mi sono fatto coinvolgere da Benigni e dal suo amore per l’articolo 21 della Costituzione: “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”. E quando il premio Oscar afferma che “La musica è pericolosa, diceva il grande Federico Fellini, le radiazioni della musica possono essere letali”.

Ricordate Benigni quando faceva coppia con Massimo Troisi? Erano imbattibili. E Morandi che prende la scopa, e pulisce il disastro combinato da un ragazzino isterico. E bacia sua moglie. Questa si che è trasgressione vera, autentica. La campionessa di pallavolo Paola Egonu era attesa a fare un discorso di denuncia nemmeno fosse Nelson Mandela. Delle canzoni, nessuna particolarmente bella.

Il monologo di Chiara Francini è stata una bella riflessione per tutti coloro che sono centrati sempre e solo su sé stessi, per una donna che non è madre: “…e arriva un momento, nella vita, in cui tutti intorno a te cominciano a figliare. …Quando qualcuna ti dice che è incinta, tu non lo sei mai stata, e non sai mai che faccia fare, c’è come qualcosa che ti esplode dentro. Un buco che ti si apre, in mezzo agli organi vitali, una specie di paura, stordimento, e, mentre accade tutto questo, tu devi festeggiare, perché la gente incinta è violenta e vuole solo essere festeggiata…E non c’è spazio per il tuo dolore, per la tua solitudine. Tu devi festeggiare. Come l’albero di Natale che tengo acceso tutto l’anno in salotto, un albero di Natale assolutamente insensato”. Brava Chiara, nessuno aveva mai detto che alcuni bambini nei passeggini sono “mostruosi e pieni d’amore”. Brava Chiara a mettere a nudo quell’entusiasmo immotivato che, come dice Sorrentino, è il sentimento più orrendo dell’essere umano.

E lo spettacolo continua: guardi le luci, gli attori, gli artisti, ti immedesimi nei loro sogni, ti senti parte, ridi, pensi, e poi spegni, e forse qualche semino di qualcosa te l’ha lasciato, come è successo a me. Epo c’è l’abominevole leghista al quale il festival non piace, ma lui è il nulla vestito da niente, e non ci fai nemmeno caso.

Ma no, no, non di Sanremo volevo parlarvi. Volevo parlare di quei ragazzi con il quale ho iniziato il discorso: in pochissimi anni sono diventati il gruppo rock più popolare del momento. Al mondo! Sono allibito. Sconcertato. Esibiscono lingua, chiappe e seni per mettersi in mostra. Sì, quel prodotto commerciale cresciuto a dismisura grazie ai social è veramente una cosa inaudibile. Si chiamano Måneskin. Ogni loro concerto viene annunciato nemmeno fossero Bob Dylan e il Papa che si trovano a ballare insieme al Twiga; le foto provocatorie -per modo di dire- non migliorano certo la loro tecnica; le confessioni scabrose o il reggiseno di Victoria che ogni tanto le scivola o il “fuck Putin” bene esibito non aggiunge nulla ai loro testi insulsi. Cavalcano bene l’onda del successo, bravi ad alimentare lo spettacolo mediatico con l’appoggio di critici musicali e forse anche di noi sessantenni, eterni nostalgici, alla continua ricerca di nuovi Rolling Stones o di neonati Led Zeppelin. Avere un carico di energia, essere giovani e belli e pseudotrasgressivi non basta. Nascono dal nulla, vivono di immagine digitale e spariranno nel nulla.

Oltre ai Måneskin l’altra questione che mi ha lasciato di stucco è Chiara Ferragni. Lei incarna il simbolo della nostra società: un mondo individualista in una società molto vuota che non si occupa di cose inutili, ma disutili. E a chi elogia le doti di Ferragni “almeno” come imprenditrice, potrei rispondere che anche Pablo Escobar, alla fine, è stato un ottimo imprenditore. Se i quattro pseudorockettari di cui sopra sono immersi nel mondo digitale ma conservano qualche aspetto umano, lei, Ferragni, è solo digitale. Non fosse che lei stessa è imprigionata in un sistema volto a soddisfare pulsioni e desideri e che, secondo quel che possiedi, vali. Non sto dicendo nulla di nuovo: già la Pop Art, ai bei tempi, aveva messo al bando la società consumistica. Milioni di follower che inneggiano ed ergono un monumento a una donna matura che parla come una ragazzina che non ha ancora finito la terza media, che, alla pari di Anna Wintour, direttrice di Vogue, considerata la donna più influente della moda nel mondo, detta mode e trend. Mi direte: ma anche Colazione da Tiffany, negli anni 60 faceva tendenza. Oh sì, ma volete mettere lo stile di Audrey Hepburn? E le parole di Truman Capote? Dice Chiara dalle uova d’oro: “Essere donne non è un limite”. Cosa vuole essere questa frase, un rudimentale slogan femminista? Quarant’anni fa vidi Aretha Franklin in concerto a Londra: cantò Respect, brano del 1967. Le novità femministe arrivano molto prima del 2023; avete in mente, banalmente, Madonna con i suoi reggiseni in bella vista? O Raffaella Carrà che mostrava l’ombelico? Lei, Ferragni, incarna perfettamente se stessa: è il prodotto da mettere sul mercato. Parla di libertà, ma poi imbriglia milioni di donne che non hanno la possibilità di studiare e di essere veramente libere in un’idea di successo che le stesse comprano attraverso i suoi prodotti con il desiderio di somigliarle. Che tristezza.

Ho trovato assurdo che in quei lunghi giorni sanremesi la parola ambiente non sia mai saltata fuori. Nessuno che voglia rendersi conto di quello che ci sta accadendo attorno. Continuiamo pure così. Assurda è anche la volontà di azzerare i vertici Rai da parte di chi regna nella Nazione perché a Sanremo si è parlato di Costituzione, si è invitato il presidente del nostro Paese, si è parlato di diritti, di cannabis e di molto altro. Siamo in Ungheria? In Turchia? In Russia? In Cina? Vogliamo andare in questa direzione? È questa l’Italia che vogliono, imbavagliata, priva del diritto di parola?

Sanremo è stato un bel momento per distrarci con canzoni, chiacchiere e protagonismi in cui Ferragni e Måneskin hanno dimostrato come fare per ottenere successo in questa epoca digitale. Due esempi di come degli individui che con energia, caparbietà, intelligenza e sicuramente duro lavoro, investano tutta l’energia possibile della loro vita per governare masse di fessi. The show must go on. Sì, a Sanremo, ce n’è stato per tutti. Anche per me.

Sanremo, è stata una settimana italiana con qualcosa di buono ma anche all’insegna della leggerezza frivola che a volte ha rasentato una pesantezza ebete. Per spiegarmi prendo in prestito una frase di Italo Calvino estratta dalla prima delle sei magistrali lezioni americane dedicata proprio alla leggerezza: “Esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca”.

Pensate, cari amici, pensate a cuor leggero. Un saluto dai monti.

Michil Costa