“Come stai?” mi chiedono. “Sono contento” rispondo. E le persone si meravigliano. “Contento della mia vita”, ribadisco. E mi guardano straniti. “Mi aspetta un buon giorno”. Presumo che chi mi interpella pensi che un inguaribile male mi stia rapidamente consumando. O che mi stia lestamente avvicinando a miglior vita e, di conseguenza, confidando in angeli e troni mi stia beando dell’imminente trapasso. E invece: “Sto bene anche di salute” dico loro. Risposta in coro: “Eh beato te che le cose ti vanno bene”. E allora scruto gli invidiosi e pure chi si rosica dentro e chi scuote la testa pensando ai suoi di mali. “Io invece vivo a Milano”. Oppure: “Faccio l’avvocato, mestiere del menga”. Allora, proviamo a fare un po’ di chiarezza: i miei acciacchi non sono così importanti da farmi pensare di dover lasciare questo mondo domani, ho detto che mi aspetta un buon giorno, non l’ultimo giorno: a Dio piacendo, of course, tutto il resto un fondo di verità ce l’ha.
Sì, candidamente lo ammetto: a me le cose vanno bene. Vanno bene le attività, vivo in splendidi luoghi tra la Val d’Orcia e le Dolomiti, sono un privilegiato nato nella parte migliore del mondo, non in un ghetto o in una banlieue o in uno slum, l’amore funziona anche quello, ho qualche acciacco e pazienza se non posso più fare le gare di motocross o lanciarmi da quattromila metri con il paracadute. Ho la fortuna di poter lavorare insieme a belle persone, posso occuparmi di ospitalità e quindi sono contento della mia vita. E perché non dovrei dirlo?
Le zone grigie ci sono, certo, ma posso dire sinceramente che provo sempre a mettere un po’ di luce anche nelle zone più buie. Da tempo ormai evito le persone che vorrebbero portarmi tra le fiamme dell’Ade. E anche quelli che parlano sempre senza ascoltare, o che, ancora peggio, chiacchierano giusto per far muovere lingua e mascelle e che ce l’hanno su con Dio e il mondo dicendo solo quello che già sanno non imparando mai dai pensieri altrui. Queste persone non mi interessano. E allora dopo un po’ gentilmente saluto e me ne vado. Non faccio più il cassonetto delle immondizie altrui. Chi ha la capacità di vomitarmi addosso i mali suoi e le brutte notizie che ci circondano, mi fa pensare, riflettere: provo a comprendere e capire, ma non mi deprimo.
No, non mi faccio travolgere dal pessimismo cosmico, ma credo anche di non essere uno di quegli gnorri ottimisti che, colmo di ego, vive solo di sé. Non sono tra coloro che coltivano il proprio giardinetto infischiandosene altamente di tutto e tutti. E lo so bene che il cieco ottimismo non ti fa percepire i pericoli, e non permette di avventurarti in situazioni scomode. La giusta dose di attenzione è fondamentale: vedere in anticipo le minacce ti porta a saltare cautamente gli ostacoli, già lo diceva Ralf W. Emerson: “Fa’ sempre quello che hai paura di fare”. I drammi contemporanei che si susseguono mi scuotono, ma non mi lascio offuscare la vita dai mali del mondo, anzi, a volte ho come l’impressione che basti anche il contributo di un semplice sorriso per accendere un fiammifero in un buco nero.
Sono fortunato, sì, ma credo sia anche legato a una scelta di vita. Da inguaribile ottimista mi piace camminare tra le colline toscane, godo quando posso mettere le pelli di foca sotto gli sci, e gli inevitabili problemi lavorativi li lascio in albergo. E ne parlo solo esclusivamente in ufficio, mai privatamente. L’ottimismo lo percepisco come un buon ingrediente della resilienza. L’ottimismo mi fa apprezzare le piccole e continue gioie quotidiane. Sempre saluto il sole, godo molto del mio sigaro giornaliero, e sono felice del calore del mio amore prima di addormentarmi. Che ci sia un po’ di consapevolezza in tutto ciò?
Ora, in ognuno di noi vi è sicuramente una particella negativa più potente di quella positiva. Nel senso che siamo più predisposti a focalizzare l’attenzione su contenuti allarmanti. Siamo più attratti dalle brutte notizie, dalle catastrofi, dalle emergenze quando leggiamo un giornale, guardiamo la tv, seguiamo media e social, che dal bello che ci circonda. E su tale propensione populisti, sovranisti e compagnia bella specula a mani basse. Gli scienziati dicono che ciò dipende dal nostro cervello primitivo. La parte negativa in noi ci ha fatto rizzare le antenne quando entravamo in contatto con animali pericolosi. È anche vero però che non ci sono più i mammuth da combattere, e che gli esseri più pericolosi sono quelli eretti che si muovono su due gambe intorno e fra noi. Ma il costante pessimismo sulla visione del mondo ci mette in modalità crisi continua e ci fa inutilmente stressare. Siamo, almeno ipoteticamente, esseri terrestri abbastanza intelligenti da poter contraddistinguere fonti buone da quelle cattive. Perciò è inutile assecondare chi ci propina solo brutture: perché se è vero che la bellezza non salverà un bel niente, il brutto contamina a dismisura.
L’essere terrestre si deprime quando ha la percezione di non potere cambiare nulla. È allora che subentra una pessimistica, frustrante sensazione che ci porta a essere inermi. Gli stati dittatoriali tolgono indipendenza e libertà. Uno stato presidenzialista non toglie libertà di movimento al singolo, ma opprime una comunità e un presidente che da solo può fare ciò che vuole può deprimere, no? E le barche che ancora affondano nel Mediterraneo non hanno anche smesso di inabissare la nostra attenzione? E questo è tristissimo. Meglio brontolare del vicino. È un po’ la sensazione che ho anche riguardo la crisi climatica. Ci sentiamo deboli e piccoli di fronte ai grandi cambiamenti atmosferici da noi causati: sostituire l’auto a benzina con quella elettrica ci sembra non servi a nulla, ennesima faccenda di mercato, o non ci interessa veramente. Duplice questione: una è che il clima non influenzi ancora abbastanza le nostre vite, troppi pochi sono i morti e le catastrofi in atto non ci riguardano troppo da vicino; la seconda è che gli spazi temporali siano percepiti, ciechi, come molto distanti. Si alzeranno i mari di sessanta metri, ma questo accadrà nei prossimi ottocentocinquant’anni, vero? Tempi eterni, e allora chissenefrega. Ma non è così, non credo proprio: mentiamo a noi stessi perché non vogliamo affrontare la realtà e preferiamo farci compatire con le nostre paturnie vittimistiche piuttosto che agire da uomini e donne veri. Non nevica più, o quasi, la siccità è parte di noi. Eppure la storia di Federico II la conosciamo bene, e sono passati solo ottocento anni.
Essere pessimisti dunque è facile, consolatorio e aiuta gli scaricabarile. Ma una cosa ho capito: non mi fa stare bene e, soprattutto, non serve a niente. E siccome mi voglio bene e voglio bene al prossimo provo a impegnarmi per un mondo migliore con una bella dose di ottimismo nello zaino. E ora me ne vado a piedi sul Col Alto. E rendo grazie a te che hai occupato la cosa più preziosa del mondo, il tuo tempo, a leggermi. Grazie. Sono un uomo fortunato. Tutti noi, qui nei dintorni, siamo uomini e donne fortunati. Non dimentichiamolo mai.
Michil Costa