Succede a Milano, Torino e succede a San Vigilio: pedoni e ciclisti muoiono sulle nostre strade a causa della violenza stradale. Inutile chiamarla in altro modo: cosa commette un camionista che uccide un ciclista e nemmeno si ferma se non violenza stradale? In Italia muore un ciclista ogni due giorni e se ne parla solo quando la vittima è un campione o un ex, pace all’anima sua. Poi, dopo un paio di giorni, tutto torna alla normalità, che equivale al dominio delle auto sulle strade e dell’inciviltà degli automobilisti nei confronti dei più deboli, pedoni e ciclisti insieme.

Ma all’inciviltà di chi sta alla guida del volante si affianca la miopia di chi sta alla guida dei governi di oggi e di ieri, dato che nulla si fa o si è fatto in materia di sicurezza stradale. Miopia, o piuttosto cecità, che non tiene conto ad esempio di un dato che andrebbe valutato con molta attenzione: il cicloturismo cresce in Italia, come del resto in tutta Europa, in modo esponenziale. Nel 2022 il numero di quanti hanno trascorso le vacanze in bici è raddoppiato: 31 milioni di presenze che hanno generato un indotto di quasi 4 miliardi di euro. In bici ci vanno tutti, giovani e meno giovani, donne e uomini, bambini compresi. E il numero è destinato ad aumentare.

E allora vogliamo garantire più sicurezza sulle strade, vogliamo investire in infrastrutture che possano attirare nuovi ciclisti da tutta Europa? L’ambiente, il turismo, le persone ne trarrebbero immensi benefici. Ma qui si preferisce fare le Olimpiadi piuttosto che investire in quello che un tempo chiamavamo Bel Paese. E si continua a coltivare un’idea di turismo obsoleta e poco orientata al futuro. Finché anche l’ultimo pezzetto di verde non sarà cementato, con centinaia di migliaia di metri quadrati di catrame adibiti a parcheggi.

Ed è così, non facciamo niente. Come su tante cose in Italia. Come sulla Marmolada lo scorso luglio ad esempio o nelle Marche a settembre. Come ad Ischia e come sempre più spesso in questa Italia in cui si convive col rischio e ancor di più con le sue cause. Che non sono solo ambientali, ma anche culturali e politiche.

Che l’Italia sia un Paese a forte rischio alluvionale e idrogeologico lo sappiamo da sempre. Lo sapeva Benedetto Croce, che proprio cento anni fa firmava la prima legge sul paesaggio a tutela delle bellezze naturali e monumentali di interesse storico del nostro Paese. Proprio lui che aveva perso all’età di diciassette anni e proprio a Casamicciola tutta la famiglia a causa di un terribile terremoto. Dal febbraio 2022 l’articolo 9 della Costituzione, che a quella legge si ispira, allarga la sua sfera d’interesse storico-naturale e con il paesaggio tutela “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.

Future generazioni? Ma se dalle parole non si passa mai ai fatti cosa significa parlare di nuove generazioni? E se dalle parole non si passa mai ai fatti le colpe vanno equamente suddivise fra governi nazionali e locali e i cittadini-elettori, spesso complici nelle dinamiche di speculazione a danno dei loro stessi territori: complici quando costruiscono abusivamente o votano chi non li protegge.

E non si pensi che qui in Südtirol sia tutto così bello e lindo. Vero è che solo una piccola parte percentuale è abusiva, ma come la mettiamo con tutto il resto? Io lo chiamerei abusivismo legalizzato. Una legge urbanistica che fa acqua da tutte le parti, e che, se sei un albergatore o un contadino di pianura, ma a volte basta un buon avvocato, riesci a costruire un po’ dove ti pare e come ti pare.

Brutto sentirsi dire queste parole vero? Brutto perché è più facile dirsi le bugie che guardare in faccia la realtà. Tanto sappiamo che prima o poi un bel condono arriverà. E che tristezza i voli pindarici dei politici, Presidenti del Consiglio e Ministri di ieri e di oggi, a sorvolare su responsabilità oggettive e sotto gli occhi di tutti: chi l’ha voluto l’ultimo condono, chi l’ha firmato? Boh, e chi lo sa?

Dei ministri ce ne sono alcuni che non digerisco, ma uno in particolar modo mi fa vomitare. Spero veramente di non incontrarlo mai per strada, gli direi, delicatamente, che mi fa vomitare. Lui e quelli del suo partito.

Dicevo, Responsabilità? Molto meglio lo scaricabarile, autentico sport nazionale. E poi dai forse non si chiamava condono, forse era un indulto, un perdono, un annullamento: del resto è risaputo, con i giochi di parole siamo bravissimi e siamo speciali nel dimenticare tutto in fretta. Perciò al di là di ipocrisia e retorica, parlare del futuro delle generazioni che verranno non ha tanto senso, perché il futuro si deve basare sulla memoria e noi non facciamo che cancellarla la nostra memoria. Solo così, dimenticando, camuffando, negando l’evidenza, possiamo non vergognarci di quello che facciamo. Ma il futuro è oggi e oggi pare che a nessuno importi del futuro.