Chiacchiere. Un continuo proliferare di parole. È colpevole chi chiacchiera in politica ed è oltremodo colpevole chi non ascolta i colleghi che hanno qualcosa da dire non solo da dire qualcosa. È maleducazione assoluta quella dei parlamentari che leggono il giornale, guardano il telefono, chiacchierano tra loro mentre un collega fa proposte di legge, espone emendamenti, tenta di intavolare una discussione. Sono parlamentari distratti costoro, oltreché supponenti, irrispettosi, insolenti e villani: forti solo della loro parola non ascoltano gli altri e chiacchierano. Uno sterile e insulso bla bla bla. Ma decidono sul destino delle nostre vite.

Sbraitano taluni clienti senza riguardo dei commensali presenti nella stessa sala. Si alza la voce per far prevalere le proprie argomentazioni. Mi aggiro fra i tavoli pensando che un tempo c’era il Simposio, le conversazioni erano argute e colte, ci si arricchiva delle parole altrui. E continuano a chiacchierare digitando compulsivamente sui loro telefoni mentre mi avvicino al tavolo per guardare negli occhi chi ha scelto, nel periodo più importante dell’anno, una meritata vacanza da noi. E allora non chiacchiero più nemmeno io, cortesemente saluto e a quel tavolo non ci vado più.

E chiacchierano personaggi noti in tivù interrompendo persone che invece argomentano con sagacia: il tempo televisivo è tempo di spot, non c’è spazio per arricchirsi di un discorso di senso compiuto. E chiacchierano i camerieri nelle sale dei ristoranti e nei grandi alberghi.

Mi trovo in un famoso albergo delle Alpi occidentali, cinque stelle lusso. Luogo iconico, come si usa dire in questi tempi in cui si abusa anche delle parole. La grande montagna che sovrasta la valle sottostante è talmente potente che mi commuovo. Commozione che passa in un secondo perché, come se non esistessi, sono disturbato da chi dovrebbe occuparsi della gioia degli ospiti, i camerieri di sala. Si trasmettono ad alto volume comunicazioni di servizio e quando le fastidiose voci si trasformano in chiacchiere da bar amplificate da vicende di nessun interesse per me, non ce la faccio più. Mi avvicino ai ragazzi, sempre più coinvolti nelle loro personali questioni, chiedendo di abbassare il tono di voce. Si scusano e io, che bello, posso continuare la mia prima colazione e farmi ancora attrarre da quel monolite maestoso. Ho pure un sentimento di contentezza: immagino di avere contribuito in piccolissima parte alla loro formazione professionale e forse anche un po’ personale. Che illuso: la sera si continua a chiacchierare come se niente fosse. Erano dunque parole al vento anche le mie.

Quanto vorrei fare diventare i clienti ospiti che moderano i toni, riuscire a fare capire a chi collabora con noi che la nostra missione è di occuparci delle persone, e che persone e ambiente chiedono educazione e non effimero chiacchiericcio. E quanto mi piacerebbe che non si usassero frasi e parole solo perché tutti le usano, e che sono brutte: “Anche no”, “H24”, “Tanta roba”, “Sostenibilità” ?!? E poi mi taccio…

Platone nella parte finale del Timeo dice che “L’uomo è la pianta del cielo e non della terra” perché ha le radici in alto, come fosse una pianta capovolta, “piante celesti con le radici lassù”. Le radici formano il terreno, il nostro non ragionare deforma noi stessi. L’augurio del nuovo anno è di non deformarci, l’augurio a noi è di apprezzare la lentezza per tornare a una vita più giudiziosa: opporci agli eccessi di velocità, alla connessione perenne e imporci di azionare il pensiero prima di fare fluire inutili parole. Perché la maggior consapevolezza nel parlare, come nei movimenti e nel pensare – non è pigrizia, ma è presenza e attenzione, rispetto ed educazione. Se solo pensassimo che una sola parola può fare danni a mille cose! Auguriamoci di ascoltare il sussurro del mondo, anche se, mi pare, ce ne freghiamo sempre di più delle stelle, dei fiocchi di neve che cadono dal cielo, dell’acqua calda che esce dalle viscere della terra, e di quella meravigliosa montagna che tanto potrebbe insegnare, se solo ascoltassimo.

Auguriamoci di non essere troppo barbari, -barbaro è colui che non comprende la lingua altrui, e noi di fatto la lingua degli inumani non la comprendiamo-, chiacchieriamo invece di moderarci, e non ci rendiamo conto che stiamo bruciando noi stessi. Auguriamoci di fermarci ad ascoltare il lavoro delle radici e contemplare il cielo stellato; a non riacquistare la saggezza potremmo presto trasformarci in disumani. Auguriamoci di comprendere che lo spirito umano non sei tu. E nemmeno io. E nemmeno la natura divisa da noi, che non è domenica della vita ma che è parte di noi. Sì, lo spirito terrestre è sempre solo collettivo e di miseri chiacchiericci può anche farne a meno.

Buon Anno, buon 2023!