«Le montagne sono maestri muti che formano discepoli silenziosi». E ancora: «La montagna ha il valore dell’uomo che vi si misura altrimenti, di per sé, non sarebbe che un mucchio di pietre».

Non ci sono passaggi migliori (il primo è di Goethe; il secondo di Walter Bonatti) per descrivere il senso della montagna per chi la ama, il valore identitario che rappresenta per chi ci vive o vi arriva. «Anche se vivi al cospetto delle montagne più belle al mondo non sei libero di fare ciò che vuoi. La montagna idealmente e fisicamente ci pone dei limiti: quando cammini in altura se metti il piede in modo sbagliato può costarti la vita. Ma attenzione: le montagne possono insegnare solo ad alunni attenti non certo ai distratti. Ci vuole sensibilità e consapevolezza nel porsi limiti altrimenti non si fa nulla».Loading…

A parlare così è Michil Costa, ladino, ambientalista che assieme alla sua famiglia a Corvara in Alta Badia gestisce i pluripremiati hotel La Perla e il Berghotel Ladinia e da qualche anno in Toscana a Bagno Vignoni l’Albergo Posta Marcucci. Ma soprattutto il nome di Michil Costa da un quarto di secolo (dal 1997 ne è presidente) è legato alla “Maratona dles Dolomites”, la granfondo ciclistica che ogni anno supera le aspettative: oltre 30mila domande di iscrizione per poco più di 9mila partecipanti che si svolge grazie alla chiusura al traffico di tutti i passi dolomitici. Un evento nell’evento: non è solo un happening sportivo che richiama appassionati delle due ruote da tutto il mondo, ma è il manifesto di un certo turismo, espressione della cultura ladina, che batte forte nel nome dello sport, del volontariato e della filantropia, superando i confini politici (Val di Fassa è in Trentino, Livinnalongo in provincia di Belluno come Ampezzo, Val Badia e Val Gardena in quella di Bolzano, ndr). Costa è un convinto e tenace sostenitore del turismo sostenibile; da anni si batte per la salvaguardia dell’ambiente, delle sue Dolomiti e della montagna in senso lato con più coscienza e meno scempi («sogno un’unica regione alpina dalla Val D’Aosta al Friuli da comunicare al mondo intero e da proteggere dall’overtourism»). Anche grazie a lui dal 2017 sul Passo Sella sono arrivati i “Green Days” con la chiusura oraria al traffico motorizzato. Costa sostiene che per preservare le Dolomiti la direzione è quella: chiudere al traffico i passi dolomitici (almeno un paio di ore al giorno da maggio a settembre), dar vita a un collegamento eco tra le valli (più bici e meno moto) con una ciclabile da Colfosco a San Lorenzo e un collegamento ferroviario elettrico, o a fune dall’Alta Badia a Brunico. «I soldi ci sono e anche i progetti manca una guida politica lungimirante che sappia andare oltre, superando gli interessi economici di chi guarda solo al profitto. Con una programmazione giusta le difficoltà tecniche sono superabili. La politica deve fare di più, io lotterò con tutte le mie forze perché ci sia un cambio di passo. Sono miopi anche i miei colleghi perché con i ciclisti affaticati e i pedoni non più stressati dalla caccia al parcheggio, farebbero ottimi affari, ne sono sicuro. Chi oggi sale in quota con l’auto per poi camminare potrebbe lasciarla in valle e cambiare destinazione, non più il Piz Boè ma il Passo Gardena, che da Selva Gardena in su offre paesaggi meravigliosi dove un tempo riposavano i cacciatori». Intanto quest’anno, appena il turismo è ripartito, ha lanciato il monito: «Agosto, Dolomite mia non ti conosco. Perché ammassarsi tutti nello stesso mese quando l’estate ha un respiro lungo che va da giugno a settembre? È indispensabile un cambiamento nel modo di essere turisti, più responsabile, consapevole e lungimirante per evitare che le meritate vacanze si trasformino in caos e le Dolomiti in pandemonio dell’umanità». Un messaggio controcorrente proprio alla riapertura del turismo.

Essere un uomo d’azione è l’eredità maggiore che gli arriva dal padre che con tanta fatica nel dopoguerra ha creato insieme ad altri ladini un modello di turismo che ancora oggi fa scuola. «A 90 anni non l’ho mai sentito lamentarsi, è ancora lì, pronto a intervenire se necessario. Nel 1975 tutta la casa andò in fiamme, anni di lavoro e fatica persi in poche ore. Mi prese per mano e disse: “Tra sei mesi sarà tutto come prima”, poi con una pala in mano ci mettemmo a raccogliere la cenere fino a notte fonda. Da giovane non ero così. Vivevo le mie Dolomiti come un limite, un ostacolo fisico perché non succedeva nulla in questa piccola comunità che si nutre dell’incontro ravvicinato con gli altri».

A 17 anni scappa di casa, vuole girare il mondo, arriva a Londra dove fa il dj di musica rock. Si appassiona alla musica punk e psichedelica (ancora oggi ne è grande ammiratore). Ma di lì a poco scopre il buddhismo. «Da giovane ero più aggressivo, ma l’incontro con Gandhi (ovviamente metaforico) è stato illuminante: ha cambiato la storia di un intero popolo ma soprattutto la mia vita, grazie alla forza del suo messaggio pacifista e nel farmi capire che pensare con la propria testa significa essere liberi. Anni dopo ho incontrato il Dalai Lama, ma nulla in confronto a quel mix di leggerezza e forza di Gandhi. L’altra persona illuminante è stato Frank Zappa, un genio musicale perché ribalta tutto e inventa un genere nuovo. Sono molto affascinato dalle persone che inventano qualcosa che prima non c’era». Poi arriva la conversione e torna a casa. Apre la Stüa de Michil, il primo ristorante gourmet nelle Dolomiti. La svolta arriva quando la «Süddeutsche Zeitung» gli dedica un servizio, e il locale sfonda. Nel 2006 arriva la stella Michelin. Oggi il suo impegno va ben oltre la gastronomia di alta gamma.

«Tornato in valle ho capito che il mio sviluppo identitario è legato alla montagna e che apprezzare la bellezza, significa impegnarsi per preservare questo patrimonio che non ci appartiene, ma che abbiamo solo la fortuna di ammirare tutti i giorni. Voglio essere il Frank Zappa della situazione, ma pacifico come Gandhi. Sempre più giovani sostengono queste idee, i passi dolomitici prima o poi si chiuderanno; non abbiamo altra scelta se vogliamo preservare la natura». L’impegno ambientalista lo porta per due volte a candidarsi nel 2008 e nel 2013 nella lista Verdi-Grüne-Vërc. Costa ama camminare, viaggiare fisicamente e mentalmente e anche dall’arte ha tratto ispirazione. «L’arte è una potente forma di resistenza contro il brutto che attrae, che adesca; è catartica, è un argine di difesa all’idiozia umana, allo strapotere dell’uomo sulla natura. Mi piace Banksy che condanna le atrocità della guerra. Memorabile l’incursione artistica nella Striscia di Gaza nel 2015, ironicamente documentata nel suo sito sotto forma di un video di promozione turistica. L’arte mi fa ballare, mi innalza quando vedo le opere greche, e la precisione e l’amore per il dettaglio lo ritrovo nel Canova, e mi sento catapultato in un mondo altro e veloce e ritmico quando sono davanti alle opere di Balla, Boccioni, Russolo e Depero, lui sì, affascinato dalla bici. Anche Schifano lo è, autentico nipotino pop del Futurismo. Al punto che disegnò in un’edizione del Tour di parecchi anni fa le tre mitiche maglie: la gialla, la verde e quella a pois. Quest’anno la Maratona ha avuto come parola chiave Ert, arte in ladino, il motivo è semplice: abbiamo voluto accostare ai capolavori dolomitici che si stagliano maestosi nel cielo, lo scintillio cromatico di migliaia di pedali e di manubri e di schiene ricurve che nel silenzio di strade per una volta chiuse al traffico compiono la loro liturgia dinamica. L’arte, anche se incomprensibile, è sempre di tutti».

Sostenibilità per Costa è anche buona governance ed economia del bene comune. Già da anni li ha applicati in casa sua, redigendo dal 2013 con i suoi collaboratori il bilancio di sostenibilità (prima che entrasse in tante aziende ben più grandi) in cui il profitto non è l’unico parametro di valutazione per il successo dell’azienda, bensì valori quali la dignità dell’essere umano, la solidarietà, l’eco-sostenibilità. Niente più strudel di mele in estate, o frutti di bosco in inverno. Le decisioni si prendono insieme ai dipendenti, secondo una democrazia interna. «La felicità e il benessere dei miei dipendenti è al centro del mio agire. Credo molto nella meritocrazia e non avendo figli o eredi è anche possibile che un domani la mia parte non vada automaticamente a un discendente della famiglia, ma al manager che più di altri preserva il valore dell’azienda. Pur volendo molto bene alla mia famiglia, la mia visione è all’opposto di quella patriarcale di mio padre. Ma si deve guardare avanti».

Un impegno importante lo dedica alla Costa Family Foundation, la fondazione di famiglia nata nel 2007, assieme ai suoi collaboratori sostenendo progetti solidali in Africa, India e Afghanistan, con l’obiettivo di migliorare l’accesso all’educazione, la situazione economica delle donne e la consapevolezza verso l’ambiente. Fino a oggi è stato impiegato oltre un milione di euro, fondi che vengono gestiti direttamente dalla fondazione.

«L’illusione più grande che abbiamo, è quella di pensare che tu sei lì e io sono qui. Ogni nostra azione ha un impatto sul pianeta, su di noi, sull’altro. Nessun uomo è un’isola».