Il Primo Maggio è la festa di chi lavora. La Festa dei Lavoratori.
È una festa della Repubblica, perché la nostra Repubblica democratica è fondata sul lavoro.
È una festa di tutti i cittadini, perché tutti i cittadini hanno il diritto al lavoro e il dovere di svolgere “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
È una festa perché “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni”.
È la festa delle donne lavoratrici, che “hanno gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni, […] e perché le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della loro essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”. Così dice la nostra Costituzione, agli articoli 1, 4, 35, 37.

Che poi, di fatto, il Primo Maggio è anche la festa di chi il lavoro non lo ha e lo vorrebbe, di chi lo ha e lo vorrebbe cambiare; è la festa di chi lavora perché costretto dal bisogno anche se prende uno stipendio oltremodo sotto la soglia europea, di chi sfrutta l’operato degli altri e monetizza, di chi per lavoro il lavoro lo toglie, licenziando gli altri, la festa di chi cuce le nostre t-shirt sportive e vive in un seminterrato senza finestre. Non in Asia, ma qui, nella nostra Italia.

La festa di chi ha attraversato prima il deserto e poi il mare e ora raccoglie pomodori sotto il sole cocente per 20 euro al giorno, se va bene. Di chi deve sperare di non ferirsi, in quei campi, o rischia di essere abbandonato morente sul ciglio di una strada.
La festa di quelle donne che vivono ammassate in capannoni, e poi sfruttate nelle serre, spesso anche abusate. La festa di quei ragazzi che vengono da noi, in Sud Tirolo, a raccogliere le mele e poi a vendemmiare nei nostri bei vigneti: chiudiamo un occhio se sono pagati in nero e i loro diritti vengono dimenticati. È anche la loro festa.

È la festa di quelle donne alle quali, ai colloqui di lavoro, viene chiesto se hanno intenzione di crearsi prima o poi una famiglia, di quelle donne ostracizzate o demansionate sul posto di lavoro perché sono diventate madri.

È la festa di quei lavoratori che vanno a “fare le stagioni” per mandare avanti il turismo e pazienza se sarà la loro prima e ultima stagione perché le condizioni richieste sono da secolo scorso. C’è da vergognarsi.

Sono un albergatore, nato in una famiglia che mi ha insegnato che il privilegio di dare lavoro va di pari passo con il garantire sempre le migliori condizioni possibili.
Senza se e senza ma, anche quando economicamente non è semplice.

Sono un albergatore che festeggia il Primo Maggio, suo e dei propri collaboratori, e sono vittima della contraddizione di dover chiedere a chi lavora con me nel mondo dell’ospitalità di essere presente nelle grandi feste.

Ed è per questo motivo che è mio e nostro dovere, a maggior ragione, fare in modo che chi si alza la mattina per venire a lavorare anche il Primo Maggio possa essere ringraziato di cuore.

Non è scontato quello che i nostri ragazzi in Toscana e anche nelle Dolomiti fanno oggi e hanno fatto a Pasqua, a Pasquetta, a Natale, a Capodanno e in tutte le feste.

Sono un albergatore che può dire grazie di tante cose: grazie per le persone che lavorano con noi, grazie per i luoghi dove possiamo ospitare le persone, grazie di poter lavorare e dare lavoro, impegnandoci sempre per garantire il massimo della dignità per ogni collaboratrice e collaboratore che è con noi.

Mi viene in mente Papa Francesco, che è appena andato via e già mi manca, che quasi dieci anni fa diceva: “Tutti noi dobbiamo lottare per far sì che il lavoro sia un’istanza di umanizzazione e di futuro.”

Papa Francesco è stato un uomo di Chiesa che ha saputo cogliere il tempo moderno e interpretare ciò che capitava attorno a lui; credo che riportare queste sue parole a proposito del lavoro sia un bel modo di ricordarlo non solo con frasi di circostanza ma anche nei fatti.

Quello che mi auguro è di poter traslare questo suo insegnamento in ciò di cui ci occupiamo noi, nell’ospitalità e nell’accoglienza, facendo davvero sì che il lavoro ci renda ancora più umani e che sia sempre di più un modo di guardare al futuro con gioia, giustizia e bellezza.

Ciao Papa Francesco, buon Primo Maggio a tutti quanti noi.

.m