1968. Vittorio Adorni diventa Campione del Mondo di ciclismo su strada con una fuga solitaria di novanta chilometri e un vantaggio al traguardo di quasi dieci minuti sul belga Van Springel. Il 1968 è anche l’anno dell’inizio dei movimenti studenteschi, che in Europa si contraddistinguono per l’impostazione ideologica influenzata dai concetti leninisti di lotta di classe e avanguardia rivoluzionaria.
Ed è nello stesso anno, nel lontano 1968, che esce ufficialmente dalla bocca di un rappresentante dell’Onu la parola sostenibilità associata all’ambiente. Quella parolina che ora è sulla bocca di tutti, usata, abusata e commercializzata a piè sospinto, che le mie orecchie non ne possono più.
Qualche anno dopo, ecco la conferenza di Stoccolma, che ha come obiettivo una maggior collaborazione tra i singoli paesi per la necessità di proteggere l’ambiente in cui l’essere umano vive.
Ventiquattro anni prima, nel 1949, la Oxford University pubblica una raccolta di pensieri filosofico-naturalistici sulla wilderness. L’autore è Aldo Leopold, che dà alla luce L’Almanacco di un mondo semplice. Il pensiero di Leopold trae ispirazione dai trascendentalisti americani, Ralph Waldo Emerson su tutti. Emerson è uno straordinario precursore che già nel diciannovesimo secolo pone l’accento sul rapporto originale con la natura, passando per la romantica identificazione della natura con il mondo vegetale, dove viene elaborata l’idea per cui tutto in natura ha un utilizzo. Emerson parla di bellezza, nel significato dato dai Greci, in corrispondenza con la natura, della natura come spirito. Il noto discorso di Leopold, uno tra i più grandi ecologisti mondialmente riconosciuti, sarebbe poi diventato noto come “predicazione dell’umanità”.
L’obiettivo, insieme ad altri illuminati, è di portare avanti un’idea di etica della Terra, dove la Terra non è più solo appannaggio dell’essere umano, ma un organismo da custodire. Sono idee basilari che vedranno a loro volta la nascita del Rapporto sui limiti dello sviluppo, pubblicato esattamente cinquant’anni fa dal Club of Rome, il quale predice che la crescita economica non può continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali. Il Rapporto traccia una prospettiva globale e di lungo termine, che intreccia diversi problemi globali, economici, ambientali, politici e sociali. Difatti spesso se ne dimentica, ma la tanto vituperata sostenibilità ambientale è strettamente connessa a quella sociale.

Abbiamo scoperto, noi che ci crediamo onnipotenti, che il pianeta ha un limite in quanto a crescita. L’aumento smisurato della popolazione, la produzione agricola intensiva, l’esaurimento delle risorse non rinnovabili, la produzione industriale e il conseguente inquinamento hanno sorpassato di netto tali limiti. E da decenni. Il mantra del Club di Roma sul concetto di limite è tutt’oggi inascoltato. Però parliamo appena si può di sostenibilità. Anche se ci troviamo di fronte a una continua crescita materiale e al perseguimento di un’espansione economica senza fine che non tiene conto dell’impronta ecologica dell’umanità la quale supera sostanzialmente ogni anno i limiti naturali.

Sono passati un po’ di anni, e da quell’approccio scientifico, ancor prima che poetico, non abbiamo imparato molto. Il rapporto simbiotico tra uomo e natura è in conflitto continuo, il progresso ha soggiogato quel che ci circonda con tecniche aggressive e violente. Sintetizza Leopold: “Il cittadino medio ritiene oggi che la scienza sappia che cosa fa funzionare il meccanismo della comunità; lo scienziato è altrettanto certo di non saperlo.” E, temo, la classe dirigente nemmeno, perché confonde la transizione ecologica con quella energetica. Poche le eccezioni di grandi uomini credibili; su tutti Francesco, unico vero leader mondiale insieme al Dalai Lama, che ci ammonisce in continuazione. Eppure ancora non ci rendiamo conto che le energie alternative, se non sono connesse a una maggiore moderazione, ci porteranno dritti verso la catastrofe. Sembra di essere sul Titanic, a ballare e cantare, quando le priorità ora sono ben altre: il prezzo dei combustibili, i conflitti, la pandemia, il timore, comprensibile e attuale, di una sempre più estesa povertà, uno stato di emergenza che ci fa perdere la visione dell’importanza di reagire immediatamente in difesa della Terra Madre.
Avremo la voglia rivoluzionaria di quegli studenti del ‘68? Avremo la prestanza fisica di Adorni? Con Flora, Ciüf, il tema di quest’anno, proviamo a ripercorrere in forma poetica e pragmatica quel che i grandi maestri, da Emerson a Leopold passando per il Club of Rome, ci hanno insegnato. Ne avremo la capacità, la forza, la volontà? Ai posteri l’ardua sentenza.