Nebbie basse, una fastidiosa pioggerellina incessante e continua intirizzisce le ossa. È una di quelle malinconiche giornate novembrine nelle quali i lupi si danno la buonanotte tra il Ladinia e La Perla. Una giornata perfetta per accendere il caminetto e prendere in mano un buon libro, magari sperando nei primi fiocchi. E invece quando tutto dovrebbe tacere e la coppia zen e quiete regnare sovrani, c’è fermento, in giro c’è aria di alta stagione. Sono decine infatti le persone che entrano ed escono dall’albergo; Mathias non può godersi il focolare, è indaffaratissimo con quella sua tuta accessoriata di pile e tenaglie. Da instancabile lavoratore è intento a disporre, raccomandare, a parlare a tutti coloro che si aggirano per casa. Con gli infuocati larici sotto il Sassongher e quelli gialli dorati al Col Alto, le Dolomiti si mostrano nel loro maggior incanto: meriterebbero contemplazione e lode, ma quegli uomini non hanno il tempo di meditare. Non è la bellezza che li circonda il motivo di tutto quel brusìo. Le squadre sono indaffarate a smontare bagni, rifare solette, arredare le nuove stanze con delle stuben antiche.

Ed è proprio in quel giorno, nei quali è perfino difficile trovare un caffè in Alta Badia che, mentre vecchi bidet vengono caricati sui camion e contemporaneamente scaricate nuove poltrone accuratamente scelte da nostra mamma, una linda auto parcheggia sul piazzale di casa. Scendono due distinti signori, con flemma entrano nell’albergo chiuso. Non vogliono fare un controllo sulla sicurezza sul lavoro e tantomeno sono intenti a fare una prenotazione. Hanno in mano delle pistole, che spavento! Cosa mai ci sarà da rapinare in questa casa in un giorno fuori stagione? Ci sta prendendo un colpo, ma l’arcano è presto svelato. Non sono gangster, sono ispettori. Giudici impassibili con una missione ben precisa: vogliono valutare se La Perla è idonea o meno a passare l’esame. A loro non interessano i sorrisi delle ragazze al front office, e non chiedono di Arthur per dare loro una mano a scaricare i bagagli. Lo chef di cucina non servirà loro un piatto prelibato, e un cocktail Martini magistralmente preparato dai nostri barmen a loro non interessa. Dell’attenzione che ci mettiamo nella gestione dei collaboratori e della trasparenza aziendale se ne fanno un baffo. La nostra voce che ci guida in tutte le attività aziendali, quella sul bilancio dell’economia del Bene comune, per loro è una lingua sconosciuta. I due, ligi e incorruttibili burocrati, salgono al primo piano. Si fanno aprire le stanze, puntano quegli affari e minuziosamente annotano i metri quadri. Con le loro rivoltelle laser misurano le metrature delle camere. Sono quelli della classificazione delle stelle alberghiere.

Un salto indietro, di qualche anno.

Chiediamo alle istituzioni del firmamento alberghiero se possiamo passare da quattro a tre stelle, perché secondo noi non siamo abbastanza bravi in termini di accoglienza. E già: fin quando i cuochi lavorano così tanto e mangiano in piedi, fino a che non saremo capaci di educare, guidare, dare delle buone prospettive a persone che hanno difficoltà a inserirsi socialmente, fino a quando ci sono le macchine a vista nei nostri parcheggi, fino quando non avremo una palestra vista Sassongher, fino a quando le nostre infaticabili signore dei piani non avranno delle stanze singole nelle quali riposare nei momenti liberi, fino a quando i ragazzi non avranno una sala giochi a disposizione e uno spazio tutto loro con comodi divani per guardarsi le partite di calcio, fino a quando tutti i cocktail non usciranno sempre perfetti e fino a quando non riusciremo a chiudere i passi dolomitici al traffico privato, non saremo abbastanza bravi a fare accoglienza. La richiesta è lecita, quattro stelle sono tante; per la nostra attività principale tre sarebbero più adeguate. La supplica è respinta. Chiediamo allora di toglierci completamente le stelle di valutazione, ma, nein!, non si può fare. Passa del tempo, qualche miglioria l’abbiamo fatta, la nuova cucina è uno spettacolo, qualche ospite dice perfino che la Stüa una seconda stelletta Michelin potrebbe anche averla. Di alberghi con tante stelle ce ne sono parecchi in giro, saranno tutte meritate?

Chissà, fatto sta che anche noi, sempre dubbiosi sul nostro operato, ci decidiamo a chiedere una nuova valutazione. Ecco il motivo della visita dei due sceriffi con la stella sul petto. Insomma, volete sapere come finisce la storia di questo giorno uggioso, con tanto di nebbie basse, una fastidiosa pioggerellina, operai che invocano tutti i santi e mio fratello con in mano pila e martello che accompagna i signori al primo piano? Finisce che, grazie a quelle pistole laser, da quest’anno siamo anche noi un albergo cinque stelle. Le stelle sono tante dice la canzoncina della pubblicità, milioni di milioni, ed io mi ritrovo, novello pastore errante delle Dolomiti, a rimuginare sui versi del Canto notturno di Leopardi:

E quando miro in cielo arder le stelle; dico fra me pensando: a che tante facelle?

michil costa