Gentile signor Benko,
Lei di mestiere non fa il benefattore, fa business. E fin qui nulla di male, anzi. Lei, uomo di mondo, conoscerà sicuramente la storia del businessman Ingvar Kamprad. Come Lei sa, Kamprad aveva dei principi nobili e saldi, voleva intrattenere i clienti non limitandosi ad appesantirli con gli oggetti che andava loro vendendo. Come Lei sa, lo svedese non sognava monumenti alla memoria, non aspirava a costruire cattedrali; immaginava un luogo dove le persone, che per lui non erano solo portafogli, potessero andare per abbandonare l’isolamento e la monotonia delle proprie abitazioni. Sognava dei negozi in cui i clienti si sarebbero parlati; vedeva i negozi, i suoi negozi, come dei centri educativi con il fine ultimo di contribuire a rendere più vere ed emozionanti le vite delle persone.

Negozi in cui non solo si potesse avere una distrazione momentanea, ma trovare un senso più profondo alla vita, una spinta evolutiva e di crescita in quanto esseri umani. Kamprad sapeva che ogni cliente aveva aspirazioni cerebrali ed etiche. Perché, si chiedeva, i poveri devono convivere con la bruttezza? Non sopportava che solo i ricchi potessero permettersi le cose belle. Partecipare alla bellezza doveva essere permesso a tutti. Immaginava negozi alla pari dei magazzini inglesi di due secoli fa, che non vendevano solo merci, ma organizzavano concerti e mostre e ci andavano pure le donne! Aveva in mente gli empori di campagna negli Stati Uniti d’America, che accettavano ogni genere di prodotti della terra. Lì si scambiava, si parlava, si contrattava. Kamprad si diede da fare. Iniziò a diffondere il suo verbo, s’impegnò con i suoi collaboratori per valorizzare la consapevolezza sociale; ogni successo era festeggiato insieme e quella gioia della scoperta, con un futuro glorioso cui guardare, lo motivava ad aprire altri negozi. Ma non aveva valutato una cosa molto importante: l’espansione commerciale di Ikea richiedeva per forza di cose la standardizzazione e omologazione di luoghi, merci, persone.

Signor Benko, ha mai pensato che le persone potrebbero essere più interessate agli esseri umani che alle cose? Invece di parlare di aree verdi sui tetti del nuovo centro commerciale che vuole costruire a Bolzano (a proposito, ce n’è davvero bisogno?), non potrebbe essere più utile e saggia l’idea di mettere a disposizione dei bolzanini degli orti collettivi, orti sociali comunali organizzati come comunità di quartiere dove le persone socializzano e si guardano in faccia scambiandosi parole vere? Ha mai pensato che, come capitò al signor Kamprad, il suo nuovo centro potrebbe contribuire alla disoccupazione perché manda in fallimento i concorrenti?

Signor Benko, non pensa che un centro commerciale potrebbe avere come obiettivo, fra gli altri, l’associazione tra educazione e commercio e che l’attuale società dei consumi non solo ne senta l’esigenza ma ne abbia estremamente bisogno? Un negozio non è solo un luogo che deve soddisfare bisogni materiali. Oggi più che mai c’è necessità di una relazione che vada oltre guest e ghost, cliente e fantasma, dove il cliente mette in scena il fantasma di se stesso nei teatri del consumo. Forse signor Benko, oltre a presentare il suo super iper maxi mega spazio, potrebbe pensare parallelamente a dei progetti sociali a medio-lungo termine; lo sa che, forse, potrebbero rendere la sua esistenza molto più ricca e in più darebbe vita a quello scambio di relazioni della quale l’umanità ha disperato bisogno? Creare qualcosa di bello fa diventare più belli!

Ingvar Kamprad diede molto peso a quelle due paroline, “soddisfazione garantita”, ma non riuscì a portarle a termine. Divenne ricco, ricchissimo, ma la sua missione, il suo credo e la sua aspirazione fallirono miseramente. Ikea è diventata solo una questione di affari e ha perso, smarrito nella compulsione di vendita, quegli aspetti di convivialità e socialità in cui tanto credeva il suo fondatore. Ancora una volta ha vinto l’industria dell’intrattenimento al consumo a tutti i costi e ha perso la nostra ‘umanità’.

Mi auguro signor Benko che un impeto visionario e meno condizionato dall’ossessione al profitto le permetta di presentare un progetto globale che non arricchisca solo lei. Perché, come diceva Khalil Gibran, quando ci rivolgiamo l’uno all’altro per chiedere consiglio, riduciamo il numero dei nostri nemici.

Michil Costa, Alto Adige, 23/02/2016

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