“La storia non è la storia degli uomini.” Bruno Latour, filosofo francese, lo spiega così: la storia è fatta di umani e non umani, luoghi ed ecosistemi. Invece noi siamo cresciuti con il pensiero di essere i “domini”, padroni e signori della Natura, quando ne dovremmo essere solo una parte. Nella Bibbia – scritta dagli umani per gli umani – noi diventiamo padroni e la Natura strumento al nostro servizio. Ma la natura non è lo sfondo della nostra storia, è la scena principale, e dimenticandoci di come noi siamo un solo ingranaggio rischiamo di avviarci al baratro.
San Francesco l'aveva capito prima di noi: chiamava fratelli e sorelle il sole, l'acqua e gli animali. Non per poesia, ma perché aveva compreso che solo essendo parte di qualcosa si poteva convivere felici. Oggi altro che fratello Lupo!Chissà come erano belle quelle notti d'estate, in Umbria, nel 1200, quando con i suoi amici e confratelli, presso l'Eremo delle Carceri, cercava risposte a domande infinite guardando le stelle, vivendo la natura, scalzo e pieno di amore per il creato. San Francesco non era Galileo; lui la risposta la trovò nel capire di essere parte di qualcosa di molto più grande.

Il nostro pianeta Terra Acqua è una casa non appropriabile, ciò che abitiamo è intimo intreccio con gli altri abitanti. Noi “civilizzati” vogliamo vivere in completa solitudine cosmica, non vogliamo conoscere né negoziare con le potenze animali, vegetali, ecosistemiche. Noi, gli altri esseri viventi, li consideriamo semplicemente inferiori. Ne parla bene Baptiste Morizot nel suo “Sulla pista animale” che aggiunge che “il mondo naturale non è come prima cosa una selvatichezza inospitale da civilizzare con il sudore della propria fronte, non è un cosmo assurdo di materia inerte disponibile; è un ambiente donatore che l’eco-evoluzione ha reso sorprendentemente prodigo per tutti.”
La modernità ci ha detto che sarebbe stato meglio stare fuori dalla Natura, così da usarla più comodamente. E infatti l’abbiamo ultrausata, abusata, e ora il conto arriva. E come farlo capire ai governanti del mondo? È utopico fare capire al presidente biondo e matto che lo stesso ghiaccio dell’Alaska visto come risorsa da trivellare senza pietà, per gli Iñupiat è casa? E intanto il clima impazzisce, la biodiversità crolla, e noi ci siamo convinti che la Natura ad ogni modo si possa acquistare. Abbiamo cominciato a cercarla nel tempo libero solo perché ce ne siamo privati per scelta. Chi vive in città sa bene cosa significa. Ma anche noi qui in Valle: quanti hanno avuto il piacere di incontrare un gallo cedrone? Esistere come umani rimane un enigma, ma la risposta a questo enigma potrebbe essere più chiara, più ricca e variegata se ci poniamo in profondo contatto con gli enigmi che sono le altre entità viventi che popolano la terra.

E allora mi prende un dubbio. Non sarà che la nostra vera stravaganza sia aver creduto che la saggezza consista nel rinnegare l’animale in noi, salendo sulle sue macerie? Il passero canta, e i nostri disastri mi tornano alla mente. E sorrido amaramente di quanto siamo proiettati al domani, all’anno prossimo, troppo lontano dal presente, troppo occupati da “me”.
Ma quale animale può essere peggiore dell’Homo sapiens — pel di carota o d’argento? Siamo un pessimo esempio per l’evoluzione. Tendiamo a scegliere e sostenere leader ignoranti e violenti. Basterebbe toglier loro il consenso, lasciarli soli e non lo facciamo. Forse perché la saggezza è poca, e siamo moltitudine che finisce per somigliar loro.
Così proiettati nel futuro da aver dimenticato l’arte semplice di abitare il presente. Eppure, basterebbe poco. Quando arriva la sera, una scodella di zuppa calda — fatta con ciò che la terra ha dato, cucinata con cura — potrebbe rimettere tutto in ordine. Naturalezza, misura, un senso istintivo di armonia. Il passero, da sempre, lo sa: senza calendari né programmi, lui sì che vive l’istante intero.
Qui entra in gioco l’ospitalità non solo come mestiere, ma come allenamento quotidiano alla sensibilità. Se prendi sul serio l’ospitalità, ricominci a vedere ciò che hai smesso di notare: da dove arriva il legno del tavolo, quanta acqua serve per una doccia, quanta energia tiene calda una stanza, quante mani di ragazze e ragazzi reggono una stagione lunga e pesante. La bellezza non è una decorazione, è il criterio per un amore consapevole.
San Francesco ci consegna uno sguardo intero: vedere il tutto nell’uno. L’ospitalità prova a metterlo in pratica. Non accogliamo solo persone; accogliamo il loro tempo e insieme il luogo che le ospita, gli animali che lo abitano, i materiali che usiamo, perfino il silenzio necessario perché ogni cosa si senta. La missione, prima dei programmi, è cura: degli ospiti, dei colleghi, dell’acqua, del bosco, della valle e delle colline che ci stanno ospitando, perché noi siamo di passaggio e duriamo poco nella storia. La Natura resta.
E allora perché non uscire di casa stamane senza troppi pensieri anticipatori, senza correre in ufficio come cavalli col paraocchi, ma provando invece a guardarci attorno con occhi nuovi, curiosi, e magari salutare un passero in città, o osservare come sta cambiando il fogliame di un certo albero sulla nostra strada di ogni giorno? È una possibile definizione, o ridefinizione, della vita.
Se la storia è davvero di umani e non umani, oggi che la prima neve torna silenziosa sui monti, facciamoci una promessa semplice: essere più parte del mondo. Con misura e con amore. Il resto verrà da sé.
.m

